Il 23 marzo, durante il 25° compleanno dello SA Newroz, parleremo insieme ad Alisa Dal Re, militante femminista dagli anni ‘70 a Padova, professoressa di Scienza Politica, Lorenza Perini e Bruna Mura, ricercatrici e attiviste, delle lotte femministe italiane degli anni ‘70, ancorate alla prospettiva materialista operaista, spesso rimosse dalla memoria collettiva sociale e di movimento. Discuteremo di questa eredità storica e della continuità del movimento femminista. Delle sue forme di lotta e dello sciopero dalla produzione, riproduzione, consumo e generi di Non una di Meno
Riportiamo di seguito alcuni passaggi di un’intervista rilasciata da Alisa Dal Re nel 2000.
Io credo che si possa ascrivere al movimento femminista una serie di pregi di analisi che però non sono stati colti, ma probabilmente neanche il femminismo li coglieva nei suoi termini più universali: penso che uno dei difetti del femminismo in questo caso sia stato di pensare di occuparsi di donne quando parlava di queste cose e di non pensare invece di mettere in atto un punto di vista di genere sul mondo, il che era una cosa abbastanza diversa.
La mia tendenza sarebbe quella di individuare certo i soggetti trainanti nelle donne e nei loro comportamenti; ma è vero che le donne hanno comportamenti disomogenei, cioè esistono donne riformiste, donne rivoluzionarie, donne conservatrici, per cui io non faccio mai il discorso delle donne come soggetto in sé. Però, l’assunzione di tematiche di genere all’interno della pratica politica questo sì non può che essere fonte di trasformazione di “tipo rivoluzionario”, perché questo ci dà una visione per esempio dei rapporti sociali non produttivistica, di per sé non lo permette proprio.
… e di un articolo del 2018.
Nel passaggio dall’operaismo militante ai gruppi femministi negli anni ’70 emerge in Italia tra le femministe radicali di formazione marxista l’analisi legata alla struttura della giornata lavorativa e alla dimensione di autonomia all’interno della vita complessiva delle donne. Partendo dalla definizione marxiana della forza lavoro: “merce speciale che è contenuta soltanto nella carne e nel sangue dell’uomo” il femminismo marxista definisce “lavoro” anche quell’attività gratuita di riproduzione degli individui e della specie storicamente attribuita alle donne (ai ruoli “femminili”).
La base di partenza non è ideologica, ma, mutuata dalla pratica operaia, si articola in lotte connesse a bisogni immediati di liberazione. La traslazione dalle lotte di fabbrica per la salute, per gli aumenti salariali uguali per tutti, per i trasporti gratis, si struttura nella richiesta di servizi sociali e di una ridefinizione del welfare legata al riconoscimento di problemi materiali concreti e immediati, costitutivi del lavoro di riproduzione della forza lavoro. Presentando la famiglia come una componente tenuta nascosta dell’economia, le teoriche femministe hanno mostrato che le sfere del lavoro e della famiglia, anziché essere autonome l’una dall’altra, si dispongono in un continuum. Il lavoro domestico privato gratuito è definito quindi come socialmente necessario, produttivo, in grado di costituire per il capitale un plusvalore indiretto, anche se sembra produrre solo valore d’uso.