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Sulla società democratica

La Road map verso i negoziati    

… Le spinte democratiche sono sempre state presenti all’interno delle diverse società. … A partire dagli Anni ’70, quando in giro per il mondo nacquero molti gruppi che contrastavano l’oppressione e si definivano di sinistra, un gruppo che si definiva PKK avviò una resistenza che è proseguita fino a oggi, anno 2009. Questa resistenza ha attraversato vari stadi e sopportato grandi sofferenze e perdite. Ciononostante ha giocato un ruolo significativo nel denunciare i problemi associati alla democrazia e nel suggerire soluzioni a questi problemi. … 

 Identità è concetto riferito al sentimento di appartenenza di una comunità e a caratteristiche quali la religione, l’etnia, la cultura, il genere. Ma la questione importante è se il concetto d’identità sia aperto e flessibile oppure rigido e chiuso. Essere aperti e flessibili rispetto all’identità darà un enorme contributo al raggiungimento di soluzioni democratiche. … 

Principio della Soluzione Democratica. La società civile, democratizzata, aspirerà a non convertirsi né in uno Stato né in una sua estensione. Non cercherà cambiamenti fondamentali all’interno dello Stato; cercherà piuttosto un funzionale regime democratico all’interno della società. Al massimo esigerà dallo stato una costituzione democratica. Ma elaborare una costituzione democratica dovrebbe essere soddisfacente, qualcosa basato sul benessere sociale e non sullo stato. Il contrario del principio di soluzione democratica è l’impostazione di soluzione stataliste centrale sul potere. Come principio, la soluzione democratica non si occupa di condivisione del potere, anzi, se ne tiene lontana. Più forte diventa il potere, più ci allontaniamo dalla democrazia. Se le società sono organizzate nel solo nome dei governi e degli stati, allora l’ordine che ne risulterà sarà antidemocratico, a causa dell’esclusione delle forze sociali. … 

 Quando il principio dei diritti e delle libertà viene messo in pratica per risolvere problemi di democratizzazione, una separazione tra diritti individuali e collettivi aggrava tali problemi, creando uno stallo. Una separazione di questo tipo va contro la natura della società. Non è mai esistito all’interno di una società umana – libera o meno – un individuo in assenza della comunità. Perciò, ottenere diritti e libertà non significa nulla, a meno che essi non siano condivisi con la comunità alla quale l’individuo appartiene. …  

 Nel caso in cui questa Road Map venga attuata, ciò significherà non solo una Turchia più indipendente, ma anche un cammino verso la democrazia, l’uguaglianza e la libertà per tutti i popoli del Medio Oriente. 

OLTRE LO STATO, IL POTERE E LA VIOLENZA 

Pagina 19 et 20

La pura rappresentazione dell’individuo e la “società” sono due concetti impensabili l’uno senza l’altro, persino sul piano teorico, per quanto si cerchi di astrarli l’uno dall’altro. Non esiste un individuo solitario. Può esserci un individuo solo, la cui società è andata a pezzi, ma questo individuo vive almeno coi ricordi della società che si è sgretolata. 

Con questi ricordi sviluppare una nuova società è solo una questione di tempo. Il fatto che il genere umano sia sopravvissuto e sia riuscito a svilupparsi è strettamente collegato al livello di socialità che è stato in grado di creare. Isolare un individuo e condannarlo alla solitudine è il modo più brutale per indebolirlo e renderlo schiavo. Raggruppamenti di schiavi, servi della gleba, operai nelle città, rappresentano comunque delle comunità, che di volta in volta prendono consapevolezza della loro esistenza attraverso le rivolte. 

L’individualismo è un concetto altamente contraddittorio. Il suo opposto, la liberazione da tutte le catene, è contrario alla società. Consideriamo morale una società che vive in base a regole che non poggiano sulla costrizione. L’individualismo stravolge questa morale. Più precisamente, con lo sviluppo dell’individualismo nella società europea assistiamo ad un indebolimento dei fondamenti morali della società. Mentre nella società orientale la società gioca il ruolo principale, al centro della civiltà occidentale troviamo l’individuo. Partendo da questa definizione dell’individuo ci sono due diverse conseguenze: mentre l’individuo dominante, sfruttatore, può ergersi al ruolo di imperatore, gli individui che sono condannati ad essere sfruttati vivono nella schiavitù più profonda. Non è un caso se il volto più oscuro del ventesimo secolo è il risultato della schiavitù del sistema capitalista che ha nel frattempo tenuto l’intera società nelle sue fauci. Un sistema dissoluto, basato sulla ricerca del profitto e del guadagno, che ha perduto i suoi valori morali fondamentali e che ha così tanti padroni, in fin dei conti è capace di tutto. 

Quando ad una società, ad un popolo, si impedisce di essere “se stessi”, significa condannarne gli individui fin dalla nascita alla debolezza e alla solitudine. L’uomo diventa parte di un’altra società nella misura in cui smette di essere se stesso. Perde dunque la sua identità. O un’immensa solitudine, o l’assimilazione ad un’altra realtà: questo è il grandissimo dilemma che io ho chiamato il “dilemma curdo”, la scelta obbligata tra la peste o il colera.

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Il punto essenziale è costruire il nuovo sistema, che chiamerei società democratico-ecologica, al di fuori del potere statale. Il che significa cercare una soluzione, non solo al di fuori della concezione di potere del sistema capitalista, ma al di fuori di qualsiasi potere statale classico, gerarchico. Non è un’idea utopistica, ma un principio teorico strettamente legato alla realtà sociale e che rappresenta la conquista più importante della nostra lotta. Fondamentale per il mio sviluppo teorico è sicuramente la mia storia personale e sociale, anche se il fattore più importante è il voler comprendere le formazioni sociali storiche nella loro struttura sistematica complessiva. Sono giunto a questa comprensione grazie alle peculiarità della nostra lotta e alla responsabilità che mi sono dovuto assumere. In passato, nella formazione delle grandi religioni e delle scuole di pensiero, hanno avuto un ruolo molto importante le fasi, talvolta durate anche decenni, di esilio, di prigionia, tradimento e dolore. Le lotte per la conservazione dei valori della società naturale e dei gruppi etnici, come pure la lotta per la sopravvivenza dei poveri, hanno un loro posto fisso in questi sistemi intellettuali. A tal proposito la storia non può essere per noi una semplice cronologia di avvenimenti accaduti nell’ambiente dei potenti di turno. È più sensato considerare il sistema nel suo complesso e trarne i relativi insegnamenti. 

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Non è possibile guidare o cambiare una società soltanto con metodi legali, politici, artistici ed economici, ma senza una morale sociale. Non intendo qui la morale tradizionale limitata: definisco l’autodeterminazione della società come la sua coscienza, il suo cuore. Una società che ha perso la propria coscienza è giunta alla fine. Non è un caso se il capitalismo è il sistema che ha maggiormente distrutto la morale. È chiaro che ha distrutto la coscienza sociale, poiché è un sistema la cui fine è molto vicina. La distruzione sistematica della morale è l’espressione concreta del fatto che il potenziale del sistema di sfruttamento e repressione è esaurito. Perciò la lotta contro il capitalismo richiede assolutamente uno sforzo etico, ovvero consapevolmente morale. 

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La rivoluzione mentale deve aver luogo in unione con i valori morali. Quando le conquiste mentali non vanno di pari passo con quelle morali ed etiche, il risultato rimane incerto e, in ogni caso, transitorio. Si deve tener presente l’enorme rovina morale operata dal sistema e stabilire, di conseguenza, le modalità di comportamento, le personalità e le istituzioni etiche e morali, necessarie e preziose per la società. Una battaglia contro il caos, che sia priva di etica e morale, può inghiottire l’individuo e la società. La morale non può mai ignorare le tradizioni sociali, ma deve sviluppare una nuova etica sociale, in armonia con loro. Poiché il sistema dominante nella fase di caos utilizza le istituzioni politiche e i loro strumenti soltanto per demagogia, bisogna stare particolarmente attenti alla scelta dei mezzi e degli strumenti politici. Affinché partiti, elezioni, parlamenti e governi regionali possano avere un loro ruolo nella realizzazione della società ecologico-democratica, devono saper sviluppare gli strumenti per la soluzione dei problemi. Deve esistere un rapporto stretto tra l’organizzazione politica, con la sua prassi, e la società costruita in senso democratico, comunale ed ecologico. Nella fase di caos si devono concretizzare queste modalità di procedura formulate in modo generale. Per la società e il sistema l’uscita dal caos può avvenire per vie diverse, che si intersecano tra di loro. Piccoli interventi possono avere effetti significativi. La fase di uscita dal caos può durare molto, oppure poco, forse non meno di alcuni decenni, ma non più di cinquant’anni.

Pagina 181-182

Una vera democrazia popolare non accetta schiavi, servi della gleba e lavoratori come esistenti nei sistemi della schiavitù, del feudalesimo e del capitalismo, ma li rifiuta. È una vecchia malattia elevare eccessivamente le classi e i gruppi oppressi, una malattia di cui le democrazie non soffrono. Laddove c’è democrazia, non esistono repressione e ingiusto sfruttamento e gli uomini non sono guidati come fossero un gregge di pecore. Nelle democrazie non si comanda nessuno, ognuno comanda se stesso. Non si dipende da alcun sovrano, si è sovrani di se stessi. Nei sistemi di dominio può esserci schiavitù, la servitù della gleba e il proletariato possono essere istituzionalizzate. Ma laddove si sviluppa la democrazia, schiavitù, servitù della gleba e proletariato smettono di esistere. Si continua a lavorare, ma come padrone del proprio lavoro, come membro della propria comunità di lavoro. Fenomeno comunale e democrazia sono strettamente legati tra di loro, come le unghie alla mano. In questo modo definiamo la democrazia, alla quale aspiriamo, e la sua storia. Le democrazie di classe invece richiedono un potere governante. Ogni potere ha bisogno di uno stato; ogni stato richiede, però, la negazione della democrazia. Una democrazia di classe nella sua essenza non è una democrazia, ma un potere statale 

La relazione tra democrazia e libertà e uguaglianza è facilmente comprensibile. Non sono l’una alternativa all’altra. Più si sviluppa la democrazia, più si sviluppano le libertà. Se le libertà si sviluppano, ne deriva l’uguaglianza. La democrazia è la vera oasi nella quale fioriscono libertà e uguaglianza. Libertà e uguaglianza che non poggiano sulla democrazia possono soltanto far riferimento a una classe. 

Libertà e uguaglianza possono quindi esistere soltanto per una classe, un gruppo, o alcuni gruppi privilegiati. Agli altri non rimane che essere governati, essere fatti schiavi. Poiché la democrazia del popolo si basa sull’auto- governo, anche libertà e uguaglianza valgono per tutti. La libertà e uguaglianza più ampie si trovano quindi nelle democrazie popolari, in democrazie nelle quali non esiste lo stato, né alcuna potenza al governo. 

Le democrazie non sono la negazione dello stato, ma non sono neppure la foglia di fico dello stato. È un’illusione volere la democrazia abbattendo lo stato. È meglio, se possibile, esercitare la democrazia e lo stato insieme, tutelando determinati principi. Solo in questo modo si può avviare la lenta estinzione dello stato. 

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L’alternativa allo stato è la democrazia. Finora tutti i tentativi di sfidare lo stato con alternative non democratiche sono falliti. Tranne la democrazia, non c’è alcun sistema che delimiti lo stato, lo limiti giuridicamente, lo restringa e rimpicciolisca. Smembrare uno stato non significa in alcun modo frantumare la cultura dello stato. Al suo posto verrà presto fondato un nuovo stato, oppure un altro stato riempirà il vuoto. Soltanto la democrazia condivide il campo con lo stato e amplia l’ambito delle libertà sociali, limitando lo stato. Può ridurre in parte i beni confiscati e avvicinarsi un po’ ad una condizione di uguaglianza. 

Non intendo la democrazia soltanto come una forma dello stato capitalista. Vorrei definire la democrazia come una condizione in cui la società al di fuori dello stato amministra se stessa. Democrazia è la capacità delle comunità di gestirsi senza lo stato. Contrariamente a quanto generalmente si pensi, la società umana dalla sua nascita ad oggi ha vissuto più in democrazie, che non in stati. Forse in nessun paese e in nessuna nazione è esistita una democrazia completa. Tuttavia la forma originaria della società era comunale e democratica. È impossibile governare una società senza l’aspetto comunale e senza riflessi democratici, ma esclusivamente con lo stato. Il dominio dello stato è possibile solo a discapito dell’aspetto comunale e della democrazia. Il terreno sul quale è nato e cresciuto è il fenomeno comunale della società e l’atteggiamento democratico. Tra i due esiste una relazione dialettica. Per questo, dallo scontro di una società con la civiltà nasce un conflitto basilare tra stato e democrazia. Meno ce n’è di uno, più ce n’è dell’altro. La democrazia completa è una condizione senza stato. Dominio completo dello stato invece significa assenza di democrazia. Come risultato possiamo affermare che il rapporto tra democrazia e stato si basa non sullo scioglimento, ma sulla repressione. 

Solo lo stato può sciogliere uno stato. La democrazia non smembra lo stato, può solo condurre ad un nuovo stato, come nel caso del socialismo reale. Se ne deriva la funzione principale della democrazia: restringendo lo stato, limitando i suoi eccessi nella società e tagliandone i tentacoli, può soltanto aumentare le possibilità di libertà e uguaglianza. Alla fine, e finalmente, forse lo stato diventerà superfluo e morirà. Il pensiero di Engels e di Lenin andava in questa direzione, ma nessuno dei due è purtroppo riuscito a sviluppare completamente questa teoria. 

Negli stati in cui esiste democrazia, si verificano indubbiamente dei cambiamenti significativi della sua forma. Lo stato viene progressivamente costretto a rinunciare a tutte le istituzioni e regole non necessarie e a mantenere solo quelle che servono alla “sicurezza comune” della società e allo “spazio comune”, inteso come spazio che viene usato in comune. 

Pagina 443

La democratizzazione del Kurdistan non è soltanto una questione di leggi, ma soprattutto un progetto sociale complesso. Include, da un lato, l’opposizione contro quei gruppi che impediscono che il popolo autodetermini la propria identità e il proprio destino. Dall’altro, implica che tutti gli altri gruppi sviluppino la loro propria volontà economica, sociale e politica, e costruiscano, dirigano e controllino le istituzioni corrispondenti. Si tratta di un processo in continua evoluzione. Le elezioni sono soltanto uno degli strumenti da usare per esprimere questa volontà. Prioritaria è l’organizzazione funzionale della popolazione, la sua azione diretta. Si tratta di un processo democratico dinamico, che si estende a partire dalle amministrazioni locali dei villaggi e delle piccole città, passa per i consigli e le amministrazioni comunali delle grandi città, fino al congresso generale del popolo. A seconda delle diverse condizioni, possiamo organizzare una democrazia comune con i popoli confinanti e, laddove possibile, costruire uno specifico sistema democratico. 

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