Venerdì 17 gennaio alle ore 16 nel corso delle aperture pomeridiane del venerdì della Libreria- al s.a.Newroz in via Garibaldi 74- si svolgeranno le letture collettive tratte dal nuovo libro di Renato Curcio ”Intelligenze artificiali e intelligenze sociali”.
Di seguito l’introduzione del libro che fornisce un’interessante cornice di ragionamento e avvicinamento alle letture e una esaustiva panoramica delle tematiche che fanno da fili conduttori del testo in lettura.
I fili conduttori
Lo stimolo ad intrecciare questi fili ha preso forma nel corso autogestito di socioanalisi narrativa che ho tenuto a Milano e a Roma sul tema “Immaginario e colonizzazione artificiale” tra gli ultimi mesi del 2023 e i primi mesi del 2024. Consentitemi dunque, prima di delineare l’intreccio, di ringraziare i cinquanta partecipanti che con la loro incalzante attività mi hanno indotto a dar forma più compiuta agli appunti sui quali ci siamo confrontati.
Tornando ai rivoli iniziali di questa esplorazione devo ancora dire che essa si snoda sulle tracce del concetto di immaginario lasciate da alcuni importanti analisti sociali del secolo passato – Jean Paul Sartre, Georges Lapassade e Cornelius Castoriadis – e ritornate straordinariamente attuali nel nuovo millennio in cui l’intera produzione dell’intelligenza artificiale generativa proprio sull’immaginario, sulla sua ”fabbricazione” e sulla sua modellizzazione semiotica ha fatto leva. Alle loro intuizioni e ai loro lavori dunque ho dedicato il primo capitolo che in omaggio a Castoriadis ho intitolato appunto ”L’enigma del mondo”.
Un secondo filo di ricerca riguarda invece la nostra sempre più umiliata qualità singolare di organismi viventi. Di soggetti unici e irripetibili e non di oggetti più o meno seriali. Soggetti che istituiscono fantasiosi legami sociali, vibrano di armoniose o dissonanti emozioni, sviluppano intelligenze singolari e collettive, creano variopinti immaginari al di qua e al di là dei confini del probabile. A questa singolarità del vivente – di recente rilanciata e approfondita in particolare da Miguel Benasayag anche per mostrare la sua qualità incommensurabile con gli artefatti di cui si servono le ”tecnologie intelligenti” – ho dunque dedicato il secondo capitolo. Al quale ho affidato anche alcune rapide riflessioni epistemologiche sulla urgenza di riallineare la ricerca sociale nel suo insieme sulla salvaguardia prioritaria dei sistemi e degli ambienti viventi di ogni genere apertamente minacciati dall’ottuso allineamento della razionalità tecno-scientifica sugli interessi prioritari del capitalismo cibernetico.
Al terzo capitolo ho affidato il compito di preparare l’approccio agli ”ambienti artificiali” che nei capitoli successivi diverranno dominanti.
Prepararlo nel senso di mostrare la differenza qualitativa degli pseudo-ambienti generati dalle tecnologie mediatiche sia dagli ambienti sto-rico-sociali in cui si svolgono gli accadimenti reali – il bombardamento con razzi da remoto di un’area di sfollati in precedenza dichiarata pro-tetta, per fare un esempio in tempi come questi piuttosto frequente – sia dagli pseudo-ambienti artificiali generati dalle tecnologie ciberne-tiche. Questo anzitutto per mettere in guardia dal paragonare gli uni agli altri o dall’interpretare gli uni con gli occhiali degli altri. Internet infatti, e tutto ciò che esso porta con sé, sono ben ”altro” dai mass-media analizzati negli anni Sessanta da Marshall McLuhan. E la rappresentazione degli accadimenti operata dai mass-media, come quella operata dai dispositivi dell’intelligenza artificiale, sono ”altro” – qualitativamente altro – da ciò che avviene nei contesti sociali reali.
Fatte queste premesse – necessarie anche se forse un po’ noiose – ai quattro capitoli successivi ho affidato il compito di raccontare quattro momenti distinti dell’intelligenza artificiale.
Il primo di essi – e dunque il quarto capitolo – proseguendo su un percorso iniziato nel 2023 di cui ho reso conto in Sovraimplicazioni aggiornerà la cronaca delle curiose vicende dei conflitti in corso tra le corporation che ”producono” le macchine-IA assunti però come “analizzatori” del processo industriale entro cui l’intelligenza artificiale articola il suo viaggio. In essi del resto si manifestano esplicitamente anche gli interessi politici e istituzionali non ufficialmente dichiarati e per questo ci debbono interessare non meno dei loro stessi prodotti. La ragione è trasparente: i loro padroni hanno dei precisi orientamenti politici. Se Microsoft cammina sulla strada dei ”Democratici”, X-AI di Musk frequenta ben altre compagnie come i quarantacinque milioni di dollari al mese che sta versando per la campagnia elettorale di Trump ci lascia intendere.
Nel quinto capitolo entreremo invece più in specifico nella tecnologia portante dell’Intelligenza artificiale generativa: ”addestramento” dei modelli linguistici e l’impostazione degli scopi a cui le macchine come GPT vengono istruite.
Dalla IA generativa ci sposteremo poi – nel sesto capitolo – nel campo della intelligenza artificiale intrusiva, ovvero di quell’insieme di micro-tecnologie che utilizzano bio-sensori indossabili oppure sensori neurali impiantati nella corteccia cerebrale al fine di interferire con le attività di pensiero. Neuro-tecnologie dunque che servono per registrare o interferire con l’attività cerebrale degli umani. Macchine come Telepathy della Neuralink, interfacce cervello-computer ”per affrontare i limiti del corpo umano”. Potenzialo, pilotarlo, influire sui suoi pen-sieri? Di certo uno dei territori più recenti e inquietanti di applicazione dell’intelligenza artificiale
Al settimo capitolo ho lasciato il compito di presentare le intelligen ze artificiali malvagie, letali, distruttive. Quelle che attrezzano indifferentemente i processi di annientamento degli umani, dei loro ambient sociali, e di ogni altra forma del vivente sul pianeta. Quelle che pur troppo vediamo all’opera tutti i giorni contro la popolazione palestine se. Omicidi pilotati da remoto, eccidi, genocidi con qualche informa zione su macchine quali Lavender, Gospel, Habsora e sul loro operat osservato da quattro diverse prospettive: razionalistica, semantica, et ca e ultra-umana. Con qualche nota anche sulla loro pretesa auton mia per rimarcare che alla prova dei fatti essa non è altro che qu margine d’ipocrisia loro concesso dagli architetti informatici e dagli ingegneri.
Mi è sembrato utile a questo punto dedicare un capitolo – l’ottavo – anche alle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori delle grandi Big Tech e al loro significato. Perché se è verro che molti operatori delle imprese che producono tecnologie belliche restano indifferenti ai crimini contro l’umanità a cui le aziende per cui lavorano contribuiscono sostanzial-mente, molti altri invece – di cui, non a caso, si parla poco – hanno rotto il silenzio e l’allineamento passivo e sono scesi in lotta per contestare la liceità sociale delle produzioni in cui vengono impiegati. E allora s’è anche visto che il volto smart delle big tech ha subito perso le sue bonarie sfumature e – con minacce, richiami punitivi, rotture di contratti e licenziamenti – è tornato anche il ghigno prepotente dei padroni d’antan.
Nel nono e ultimo capitolo, infine, non troverete una conclusione. Non credo sia il tempo di concludere alcunché. Ma tutto ciò di cui s’è detto nei capitoli precedenti lascia comunque capire che la resistenza contro la colonizzazione del proprio immaginario e contro le forme istituite dell’immaginario sistematicamente prodotto e servito dalle intelligenze artificiali generative si pone come il nodo che solo una pratica collettiva potrà sciogliere. Una pratica che ritorni a far leva sull’arma più potente di ogni resistenza e di ogni processo istituente: l’intelligenza sociale collettivamente esercitata. Quella germinazione dal basso nel vivo corpo sociale dei colonizzati di una fioritura d’intelligenze collettive che si accrescono e rafforzano nella vita di relazione finalizzate a spianare le disuguaglianze tra i viventi; a demolire i muri divisori tra popoli, etnie, e religioni; ad integrare tra loro i sistemi viventi e a costruire strumenti per ridurre la fatica del lavoro, migliorare le condizioni sanitarie della nostra e delle altre specie e bandire le guerre. Questi sì, strumenti intelligenti!
pp.8-11
Introduzione
Le intelligenze artificiali hanno ormai affermato la loro funzione di traino tecnologico, scientifico e ancor più mitologico, sia del modo di produzione capitalistico che delle formazioni sociali in esso radicate.
Con la loro irruzione nel territorio digitale, dissodato negli ultimi trent’anni, la relazione storica tra gli umani e le macchine ha inaugurato nuove traiettorie. Ora sono le macchine-IA (le macchine dell’Intelligenza Artificiale) che si propongono di ridefinire la posizione e le funzioni della gran parte di chi con esse in qualche modo diretto o indiretto opera o lavora. In questo turbine di veloci rimodellamenti del capitalismo cibernetico siamo tutti in vario modo coinvolti sia nel ruolo di utilizzatori degli strumenti che in quello di utilizzati. Le intelligenze artificiali infatti si servono di noi molto più di quanto noi sappiamo o possiamo servirci di loro. E più noi ricorriamo ad esse per potenziare le nostre attività, più esse accrescono la loro influenza sul nostro immaginario e sui nostri comportamenti. Ci colonizzano.
Non uso quest’ultimo verbo in modo vago. Intendo proprio quell’azione mediante cui ”il colonizzatore” – ovvero l’élite della oligarchia Big tech statunitense – punta decisamente alla conquista delle risorse identitarie riversate sulla rete per qualsiasi ragione da ogni suo utente.
Conquista i cui scopi restano tristemente quelli del più bieco egoismo capitalistico. Dollari e potere.
In questo libro approfondiremo alcune implicazioni di queso processo niente affatto esaltante. Ma già in premessa penso sia utile anticipare qualche parola su un equivoco assai diffuso che riguarda i suoi destinatari finali: gli ”umani ibridati” che operano in qualunque modo sulla rete. I quali, in quanto umani, partecipano col loro corpo alle dinamiche del vivente; ma, in quanto ibridati con dispositivi digitali, incorporano le regole degli artefatti senza vita.
Quando nel 2015 ho iniziato la riflessione sulla colonizzazione del nostro immaginario – che in questo libro riprendo anche per verificarne nove anni dopo le premesse – l’infrastruttura di Internet già mostrava il suo carattere distintivo: quell’incedere ”circolare e ricorsivo capace di far leva proprio sulla nostra iniziativa”. Quel mettere a disposizione strumenti in apparenza gratuiti come le piattaforme social o i motori di ricerca che, se usati, a poco a poco ci avrebbero trasformati in collaboratori della colonizzazione di noi stessi, soggetti attivi dell’azione colonizzatrice e promotori della nostra e dell’altrui colonizzazione. Volontariamente o involontariamente, poco importa. La razionalità tecnica che quegli strumenti oggettivavano in sé richiedeva infatti, per poter svolgere a pieno la loro funzione, un coinvolgimento sistemico dell’utilizzatore. Per un verso dunque una ibridazione con più dispositivi di connessione – smartphone, laptop, auricolari e analoghi – che per la loro funzione di protesi cibernetica permanente alcuni oggi definiscono ”bionica”. Per un altro, il salto antropologico dalla vita di relazione alla prevalenza della simil-vita di connessione.
Un doppio e simultaneo processo che in meno di dieci anni, a seguito dello sversamento quotidiano in cloud remoti di informazioni su di sé in quanto utenti e sulla propria pseudo-vita di connessione, ha portato la popolazione del contesto geopolitico occidentale a trasformare la sua ”qualità antropologica specifica”. Ora, questa popolazione è composta di umani digitalmente ibridati che trascorre più di metà del suo tempo di veglia “in connessione”. Al servizio delle macchine-IA e dei loro padroni.
Nel 2015, corporation oggi ben stagliate nell’oligarchia Big Tech come OpenAI stavano appena nascendo e ChatGPT, Gemini, Claude, X-AI e altri loro fratellini “intelligenti” ancora neppure erano stati immaginati. Eppure oggi vengono quotidianamente consultati da milioni di utenti e aspirano apertamente a svolgere il ruolo di influencer onniscienti. Siamo giunti intendo dire sul limine di un ulteriore slittamento antropologico che questa volta però riguarda la dichiarata intenzione dell’artefatto intelligente di prendere saldamente in gestione oltre alle nostre pratiche in connessione anche e ancor prima il controllo dei nostri pensieri e di assumerne la guida.
L’entusiasmo di OpenAI, di Microsoft, di Google, di Antropic e degli altri produttori delle IA generative anche questa volta quindi non è affatto una buona notizia. Al di là della soglia luminosa che ci viene proposto di varcare nella prospettiva di un miglioramento “intelligente” della nostra vita quotidiana da essi ritenuta alquanto ottusa, noi, in quanto organismi viventi, rischiamo infatti di trovarci trasformati in prede degli strumenti ammaestratori oltreché dei loro padroni. Le macchine-IA, infatti, così come sono attualmente concepite e addestrate, obbediscono a quell elite oligarchica transnazionale, sempre più ristretta e potente che, stante il regime capitalistico, possiamo tranquillamente definire con una parola antica e un po’ desueta ma ancora perfettamente adeguata: classe. Classe dominante, classe influente, per essere più precisi. Classe sociale che recluta al suo servizio tutti coloro che in vario modo concorrono a produrre e perfezionare le macchine colonizzatrici, a curarne l’immagine, a rafforzarne le funzioni, a diffonderne l’uso e a potenziarne le mire egemoniche.
Sto insomma affermando in chiaro ciò che i tiepidi critici delle intelligenze artificiali, pur disposti a rivendicare maggiori diritti dei cittadini
sulla ”proprietà privata dei dati”, non vogliono neppure sentir dire. Ovvero che se le intelligenze umane sono miliardi – tante quanti sono stati e sono ancora per ora gli umani – uniche e variegate nelle loro imprevedibili espressioni singolari, quelle artificiali sono poche e asservite, in concorrenza acerrima tra loro, etno-classiste e voracemente colonizzatrici.
Etno-classiste, affermo, perché finalizzate a realizzare profitto esponenziale per i loro padroni occidentali bianchi, già iper-miliardari, e quindi addestrate a diffondere anzitutto i loro orientamenti culturali intrisi di una malcelata retorica suprematista e, in seconda battuta, quelli dei loro scodinzolanti azionisti. Voracemente colonizzatrici perché operano per allocare sempre più stabilmente con le loro macchine-IA i loro utenti planetari nell’immaginario istituito proprio del loro, peraltro traballante, contesto geopolitico. Ecco, è su alcuni nodi di questa ingarbugliata matassa dunque che nelle pagine seguenti cercheremo di tracciare il quadro delle principali domande a cui il veloce rimescolamento del contesto ci confronta.
pp. 5-8